Offesa sul lavoro o eccessiva permalosità?

Efficacia della tutela collettiva e critica sindacale: un binomio inscindibile?

Il casus belli da cui origina la vicenda sottoposta all’esame del giudice civile rappresenta un afflato di vita sindacale in un contesto in cui l’attività (rectius la vivacità) delle organizzazioni dei lavoratori, un po’ per colpa propria ed un po’ per fatto altrui , appare abbastanza appiattita. Al contrario, non certo piatti, almeno per il Tribunale di Ravenna, devono essere apparsi i toni utilizzati dai protagonisti di questa vicenda: da un lato un dirigente aziendale reo di eccessiva aggressività nei confronti dei propri sottoposti e, dall’altro, un funzionario sindacale che, in maniera per c.d. folkloristica, ha palesato, senza porsi troppi problemi, i difetti del primo. Qui nasce la domanda: Offesa sul lavoro o eccessiva permalosità?

Più precisamente è stato chiesto al giudice se un fax con cui il dirigente veniva descritto dal sindacalista come persona caratterizzata da costante

arroganza e boria” ed al quale veniva imputato di “aver allontanato in malo modo dalla linea di lavorazione la nostra delegata sindacale A.V. dopo che aveva fatto notare l’eccessiva velocità del nastro, e di come quella velocità si ripercuoteva sulla propria salute e su quella delle colleghe” quindi di essere responsabile di “una continua mancanza di rispetto…ai danni di tutto il personale ed in modo particolare di quello femminile” rientri o meno nella scriminante della critica sindacale.

Per il Tribunale di Ravenna vi rientra. In realtà l’atto con il quale il giudice si è pronunciato è quello dell’ordinanza, e ciò in ragione della natura del procedimento avviato dal dirigente che agiva per il risarcimento del danno, ovvero il procedimento sommario di cognizione ex articolo 702 bis C.p.c. Ne consegue che la succinta motivazione posta a fondamento dell’atto ex articolo 134 C.p.c. non contiene un’articolata ricostruzione dell’istituto de quo, ma offre comunque l’occasione per valutare lo stato della giurisprudenza (civile e penale) sul tema dei limiti al diritto di critica sindacale.

Breve riflessione “critica” sulla natura del procedimento azionato

Preliminarmente all’analisi, anch’essa succinta, del merito della controversia, alcune osservazioni possono svolgersi circa la scelta del rito da parte del soggetto asseritamente danneggiato, ovvero il procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis C.p.c.

Lungi dal voler entrare, in questa sede, all’interno del dibattito circa la sommarietà della cognizione  o dell’istruzione , resta il fatto che l’opzione per il procedimento ex art. 702 bis C.p.c. non appare pienamente condivisibile, né con riferimento alla natura della questione giuridica sottoposta all’attenzione del giudicante , né con riferimento alla sommarietà dell’attività istruttoria .

Nel caso di specie, infatti, i due profili sono estremamente connessi tra di loro: il giudizio circa la configurabilità del diritto di critica sindacale non può fondarsi esclusivamente sul testo asseritamente denigratorio (a meno che in esso non siano contenute espressioni manifestamente ed “insindacabilmente” offensive e gratuite, ma non sembra essere questo il caso), ma presuppone che le espressioni utilizzate siano contestualizzate alla luce del panorama aziendale e delle ragioni sottese alla necessità dell’intervento sindacale. Il procedimento che ha portato al respingimento della domanda del ricorrente sembrerebbe, per l’appunto, aver assunto le sembianze del rito ex articoli 414 e ss. C.p.c. (ovvero quello previsto per le controversie in materia di lavoro, con tanto di note conclusive autorizzate) piuttosto che le forme contemplate dal procedimento introdotto dalla l. n. 69/2009: la semplice durata del giudizio di primo grado (oltre due anni dalla data del deposito del ricorso) tradisce la ratio stessa del procedimento. Anche l’istruttoria, articolatasi nel libero interrogatorio delle parti, nell’escussione di numerosi testimoni e nel deposito di diverse memorie scritte, pare lontana da quella istruzione non sommaria di cui al terzo comma dell’art. 702 ter C.p.c.

Ne consegue che, pur permanendo il dubbio circa la scelta del giudicante di non disporre la conversione nel rito ordinario ex artt. 183 e ss. C.p.c., sembra potersi sconsigliare, per le ragioni testé rappresentate, la scelta del procedimento sommario di cognizione laddove si intenda agire per il ristoro dei danni derivanti da fatti o espressioni che si ritengano esorbitanti rispetto al diritto di critica sindacale.